I territori come beni rifugio: il ruolo del distretto dell’economia sociale nelle politiche per lo sviluppo locale.
Abstract
Le istituzioni sono fondamentali per la crescita economica e lo sviluppo. Eppure, esattamente cosa le istituzioni facciano, o meglio non facciano, è difficile discernere in tempi normali. Per contro, le crisi aiutano a rivelare le vulnerabilità delle governance. Utilizziamo la lunga crisi globale, per scoprire il nascosto ma sempre più necessario effetto distributivo delle regolamentazioni. Focus sull’imprescindibilità, del tema delle condizionalità (ambientali, sostenibili, economiche e bancarie, etc) intese, mutatis mutandis, come l’insieme di norme e regole che devono essere rispettate per poter meglio apprendere e strutturare l’innovazione delle policies.
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Sono tempi in cui bisogna rimboccarsi le maniche, piegare schiena e gambe. Il tatto con cui sono state affrontate le attuali situazioni socio economiche, avrà, comunque vada, una lunga e dolorosa onda d’urto. Quindi saranno momenti in cui sobrietà e morigeratezza costringeranno a fare poche scelte condivise e forse, finalmente, utili. Il recente passato ha reso chiaro, infatti, che non è più tempo di studi, ricerche e misurazioni, quanto piuttosto di agire in maniera sostenibile con azioni reali.
Posto che l’innovazione deve essere considerata come il bene relazionale collettivo da cui ripartire, saranno ambiente, sanità ed istruzione, solo per citarne alcuni, ad essere considerati altrettanti beni infungibili, interessi collettivi primari e non oggetti di mero conto economico, soprattutto per chi difende e tutela la sostenibilità delle politiche pubbliche e delle azioni che ne discendono.
Bisogna avere la capacità di fare bilanci, di farlo in maniera equa e con prospettiva. Se le società di informatica raggiungono una capitalizzazione in borsa superiore a quelle petrolifere, non solo è certificato che il mondo è cambiato ma anche e soprattutto che gli alti saperi e la tecnologia sono le nuove materie prime del futuro. I cosiddetti paesi emergenti producono sempre meno oggetti di poco valore e sempre più prodotti tecnologici. A livello transnazionale si generano alleanza per l’alta tecnologia nell’auspicio di una sempre maggiore collaborazione tra scienza ed industria per investirle nelle direzioni chiave: clima / energia, sanità / alimentazione, mobilità, sicurezze ed itc.
I nostri territori non possono permettersi il lusso di restare fuori da questi challenge.
I territori, infatti, intesi non come unità geografiche ed amministrative, sono unità socio culturali che vivono nel tempo e nello spazio, sono caratterizzati da identità forti, sono i nuclei dei processi di aggregazione prima e di cambiamento poi. È determinante far ritorno al passato per costruire un modello di sviluppo sostenibile, favorendo spazi pubblici di coesione, ancorando identità ed autenticità dei territori alla valorizzazione degli ambienti informali, dello human power e dei human network, agevolando le dimensioni sociali dei processi innovativi, procedendo verso maggiori situazioni di sostenibilità sociale.
Per la valorizzazione dei territori è determinante (a) costruire relazioni tra discipline, settori, aree, attori che solo apparentemente sono distanti, (b) stimolare open innovation and creative cluster, (c) promuovere i percorsi sociali dell’innovazione premiando la giustapposizione tra localised learning and external learning. Possiamo avere la capacità di riprodurre saperi taciti sui quali in passato si erano sviluppati i cicli di innovazione, di rianimare le imprese innovative che contribuiscono alla crescita economica quali moltiplicatori dello sviluppo, in quanto sistemi locali e sociali dell’innovazione che possono garantire sviluppo locale sostenibile.
Sarà risolutivo collegare la competitività delle imprese con la competitività dei territori, creare un diretto collegamento col mercato del lavoro perché servono competenze mirate per favorire la creazione di nuovi moltiplicatori per lo sviluppo dei territori, perché l’economia della conoscenza è e rimane uno dei motori insostituibili.
I potenziali, quindi, allo sviluppo saranno dati da agricoltura, turismo, valorizzazione dei beni ambientali e dei patrimoni immobiliari esistenti. Le negatività saranno offerte dalla corruzione politica, dal clientelismo, dal sommerso, dalle estorsioni e dalle varie forme di criminalità. In questo quadro sarà importante ridefinire gli scambi tra il centro e la periferia, perché lasciare il locale da solo non è produttivo, serve una governance centralizzata. Dove c’è fiducia funzionano le reti, c’è innovazione e si permette che il senso civico produca beni collettivi che servono allo sviluppo economico del paese intero. Lo stesso welfare, forma di investimento sociale, incide in maniera profonda nello sviluppo economico, così come le reti associative o familiari incidono sul capitale sociale. Se c’è fiducia generalizzata, c’è fiducia istituzionale e le reciproche influenze scatenano volani incrementali.
Si può intendere il centro Sardegna come una sub regione? Si può re ingegnerizzare una società industriale, agricola, civile, etc, che nell’arco di 60 anni di vita repubblicana si è trasformata tante altre volte in maniera fisiologica? La risposta è si, perché è possibile pensare ad una società delle conoscenza. Viviamo una stagione di debole legalità in cui la debolezza istituzionale è maggiore nelle aree di radicamento dei problemi nevralgici. L’innovazione allora sarà la trasformazione dei territori nel rispetto del milieu e delle pregnanze economiche e sociali. Il territorio conta, non resta fermo, non è statico ed è il suo cambiamento infatti che ci interessa. La trasformazione non è dissolvimento ma evoluzione di sistemi vivi che per evolversi diventano nuovi.
Ed Il nuovo spazio è caratterizzato dalla mobilità, delle merci e dei capitali prima, dei servizi poi, quindi della conoscenza, mobilità dal vecchio modello di sviluppo fino allo studio dei territori emergenti che, geneticamente, sono mobili. I territori non devono più essere intesi come contenitori naturali di attività e persone ma quali fluidi attori / spettatori del passaggio che dai distretti è arrivato alla gestione delle reti di persone e conoscenze. Ogni territorio deve vivere se stesso all’interno delle differenti scale che la globalizzazione richiede: locale, metropolitano ed internazionale. La mobilità stimola la concorrenza e chi non si muove non compete.
Quindi i territori come osmotici beni rifugio.
Il mercato del lavoro obbliga ad un’iperspecializzazione e iperprofessionalizzazione per non soccombere al cospetto dei mercati a basso e bassissimo costo del lavoro. L’arretratezza del dibattito culturale pretende che con vecchi schemi si possano spiegare modelli nuovi. I territori devono domandarsi che cosa accadrà nei futuri che lo attendono, non più solo riflettere su come semplicemente attrarre aziende. Dovranno sforzarsi di attirare attività produttive specializzate su beni e servizi per quelle filiere globali, ad esempio, che li richiedono.
Focus quindi sugli aspetti qualitativi dello sviluppo e non quantitativi di mera crescita, nel tentativo di produrre beni e servizi non replicabili. Cerchiamo di diventare i campioni della conoscenza generative e non replicativa. Focus quindi su competitività ed innovazione per lo sviluppo regionale nella consapevolezza di uno scenario in evoluzione in cui il costo del non affrontare i problemi sociali è oramai divenuto insostenibile.
La domanda è come migliorare le politiche. La nostra risposta è investire sul diagnostico, avere strategia e visione, studiare gli spazi per comprendere gli assetti di una multilevel governance sempre più complessa e sempre più da gestire. Focus quindi su sviluppo piuttosto che non crescita nella certezza che introdurre i fattori felicità nei calcoli delle ricchezze di una nazione sia viatico indispensabile. Occorre un salto di qualità e di mentalità, mettere pratiche e competenze al servizio della vita di tutti e per tutti i giorni, serve indicare una rotta per il futuro.
Oggi l’economia reale rappresenta una percentuale molto esigua degli scambi finanziari. Riportiamo produzioni e consumi sugli scambi di prossimità e sulla vita di tutti i giorni. La disoccupazione reale sarebbe al 25%, quella giovanile al 32%, invecchiamento over 75 anni in aumento del 10%. Osserviamo inermi l’assottigliamento del tessuto industriale, dal brain drain (fuga di cervelli) si passa al brain waste (spreco di cervelli) perché la mole dei NEET (non occupati né in formazione, ndr.) e dei sottoutilizzati ha oramai dimensioni abnormi. L’agricoltura tira, i migranti in entrata ed in uscita aumentano senza che questo per ora abbia generato un circuito virtuoso.
Questi sono i temi dello sviluppo locale che le PPAA centrali e locali potranno fronteggiare col nostro aiuto.
La Sardegna sarà i Sardi che saremo.